Mai come in questi ultimi anni il termine innovazione tecnologica è apparso tante volte sui giornali o sulle riviste specializzate e mai come in questi ultimi anni, nel nostro paese soprattutto, questo termine è divenuto frequente nei discorsi di imprenditori, politici e rappresentati delle organizzazioni sindacali.
La necessità sociale dell'innovazione tecnologica è stata riscoperta, dopo anni di torpore e di teorie non vincenti ancora oggi, purtroppo, in auge. La crisi economica e industriale hanno messo in discussione molti dei principi sui quali era basata la politica industriale sul modello anni '60, orientata a relativamente facili incrementi di potenzialità produttiva quale conseguenza di una forte domanda di beni di consumo e di investimento.
Ci sono molti studi che approfondiscono sapientemente la questione, più semplicemente vorrei invitare ad una riflessione sui risvolti del "codice aperto" come uno degli aspetti della filosofia di condivisione delle conoscenze, alla quale mi sono avvicinato da qualche anno. Piuttosto che porre l'attenzione sul valore scientifico della creazione o dello sviluppo di nuove tecnologie, ritengo opportuno focalizzare l'aspetto secondo me più importante: quando l'innovazione diviene elemento basilare per il raggiungimento del fine economico di un'impresa.
Oggi in parecchi non si spiegano come mai colossi dell'industria dell'informazione si siano "gettati" nel mondo di "Linux", condividendo le idee di Stalmann e di quelli che come lui sostengono le "libertà del software", apparentemente in contrasto con le dure leggi del profitto. Ci si chiede da più parti come possa competere sul mercato un'azienda che rivela il suo prezioso bagaglio di conoscenze agli altri (concorrenti) senza chiederne niente in cambio? Quanto potrà durare il "fenomeno" Linux/Open Source? (mi si perdoni l'accostamento, visto che si tratta di due argomenti complementari ma distinti).
Il processo di innovazione tecnologica esula dal concetto più limitante che in genere si dà alla "progettazione" pura e semplice, ma con la quale si è tentati a volte di farla coincidere. Essa coinvolge un ciclo molto più ampio e più complesso di accadimenti sia dal punto di vista organizzativo sia, di conseguenza, dal punto di vista economico: coinvolge infatti non soltanto la progettazione, l'ingegnerizzazione e la produzione vera e propria, ma trova la sua giustificazione, la sua ragione di essere, nella ricerca di mercato, nell'analisi cioè della domanda e nell'individuazione di reali o possibili bisogni.
In termini econimici classici, a ciascuna fase del procedimento di sviluppo di un prodotto, e cioè: la conoscenza di una domanda potenziale, la ricerca e sviluppo del prodotto finalizzata a soddisfare la domanda potenziale di mercato, l'ingegnerizzazione del prodotto delineato dalla ricerca, l'allestimento e l'avvio della produzione e l'avvio della commercializzazione, corrispondono certe entità di spesa.
In genere l'ingegnerizzazione e l'avvio della produzione assorbono anche più della metà della spesa globale delle fasi operative prima citate, specialmente quando si parla di produzione manifatturiera di grande serie, e oggi la produzione di "pacchetti software" è ad essa assimilabile per molti versi.
Si corre tuttavia il rischio di sottovalutare altri aspetti non meno importanti, come la ricerca appunto, giacché essa, rapportata al fatturato ha una entità piccola e quindi non sembra rivestire grande importanza. Spesso mi sento ripetere durante il mio lavoro quotidiano: "qui non siamo scienziati... dobbiamo produrre soluzioni in tempi brevi e a costi accettabili...". Ma proprio questa fase, invece, è quella che caratterizza le aziende ad alto contenuto tecnologico, come appunto quelle "informatiche", sebbene normalmente gli investimenti per la ricerca non superino il 5-10% del fatturato annuale, è proprio la ricerca che condiziona più profondamente il risultato finale, in termini economici, del prodotto. In un'azienda di servizi, poi, il concetto si enfatizza ancora di più giacché il "prodotto" è proprio il dipendente e non quello che il dipendente fa o dice... anche se sfugge a parecchi questo sottile concetto (e quindi si tende, ad esempio, a spendere poco o niente in corsi di aggiornamento professionale o in "supporti" per migliorare le condizioni di lavoro e l'appagamento del dipendete per quello che compie).
Specialmente oggi, in una situazione in cui la produzione industriale classica ristagna, specie nei settori di prodotti ad alto contenuto tecnologico, e in presenza di una continua riduzione dei prezzi dei componenti base in funzione dell'innovazione tecnologica, la ricerca e lo sviluppo, finalizzate alla realizzazione di un prodotto finale tale da poter reggere il mercato in termini di prezzo e di prestazioni, richiede un'assoluta attenzione e la capacità di operare ai livelli più sofisticati.
L'approccio iniziale ai problemi della ricerca, ed in particolare il modo in cui essa è impostata e realizzata da parte di un operatore economico, o in termini più generali, da un'impresa qualunque sia la sua dimensione, è determinante per i risultati finali della relativa iniziativa industriale. Infatti l'elemento che influenza buona parte parte della realizzazione vincente di un progetto, in termini economici, risale a parecchi mesi dal momento in cui esso entra in produzione, e cioè al momento in cui si è cominciato a pensare al progetto stesso.
È inutile cercare tutti gli accorgimenti per effettuare un piano di riduzione dei costi a livello di produzione se esso viene praticato su di un progetto che ha in sé gli elementi per generare comunque un prodotto finale che costa di più di quello della concorrenza. Se il progetto viene meno a questa esigenza, quindi, fallisce l'obiettivo di rispondere al mercato adeguatamente e l'azienda potrebbe trovarsi in grave difficoltà.
Questo risultato però è molto più frequente di quanto si pensi, l'insuccesso di molti progetti spesso proviene da cause legate all'uso comune di intendere la ricerca come associata direttamente al fatto che genera certi risultati, confondendola quindi con la ricerca industriale. È necessario fare una distinzione pratica e di principio tra i due concetti.
La differenza sostanziale consiste nel fatto che nel moderno concetto industriale la ricerca pura, o fondamentale, è quella che viene perseguita nei laboratori accademici, nelle università o da enti privati. È quindi quella orientata a raggiungere risultati di conoscenza senza che tali risultati siano pianificati in funzione del raggiungimento di specifici fini economici (anche se oggi l'orientamento del MURST mi sembra sia esattamente questo... impiegare enti di ricerca pura come "succursali" dei centri di ricerca delle industrie, quindi finalizzando ogni ricerca al profitto e vincolandola fortemente - in altre parole, scaricando su enti pubblici o simili i costi dei centri di ricerca dell'industria privata).
La ricerca industriale, più specificatamente la ricerca applicata è invece intrapresa e pianificata per l'ottenimento di particolari e concreti vantaggi di carattere economico, sociale o di altro tipo comunque inerenti alla soddisfazione di particolari bisogni. È chiaro come sia la ricerca pura, di solito, che produce grandi scoperte, ed a questo proposito mi sovviene una frase di Marx che rilevò che "una storia critica della tecnologia dimostrerebbe in genere quanto piccola è la parte di un singolo individuo in una invenzione qualsiasi".
La ricerca industriale deve essere vista e valutata esclusivamente in funzione dell'apporto che essa offre al raggiungimento degli obiettivi aziendali. L'invenzione e una nuova scoperta e la definizione di un nuovo concetto o di una nuova idea attraverso l'elaborazione di una nuova teoria scientifica. L'innovazione è il processo attraverso il quale un'invenzione o un'idea viene praticamente trasformata e realizzata in un prodotto.
L'invenzione è altrimenti spiegabile come la prima utilizzazione tecnologica di una specifica idea e di un certo processo del sapere scientifico. Da quanto detto si evince che la funzione di ricerca e sviluppo nell'azienda deve rappresentare il tramite tra il mondo interno dell'impresa e quello esterno e cioè verso una comunità scientifica nazionale ed internazionale. La sua organizzazione deve essere quindi tale da favorire al massimo l'affluenza di informazioni tecniche da quel grande patrimonio che è costituito dalla conoscenza tecnologica oggi disponibile ancora più "facilmente" grazie ad Internet. L'open source, o meglio, le conoscenze acquisite da chi si adopera nella ricerca e nel miglioramento continuo di qualcosa adottandone i principi libertari, è un enorme patrimonio tecnologico, oggi finalmente fruibile a costi così bassi, pressocché nulli, che chiunque può essere al tempo stesso, fruitore delle idee scientifiche e "scienziato".
L'accostamento di un appassionato di tecnologia ad un ricercatore in camice bianco può fare rizzare i capelli a qualcuno, certo. Prima ancora di leggere Stalmann e l'ampia bibliografia sul tema "software libero", da semplice appassionato di astronomia mi accorgevo che sovente anche gli astrofili davano il loro contributo, in rapporto ai mezzi sicuramente inferiori di cui dispongono, alla comunità internazionale degli astronomi di professione. La conoscenza è patrimonio comune di tutta l'umanità e in quanto tale non dovrebbe essere "rivenduta".
La condivisione di programmi per calcolatore a sorgente aperto (open source) permette quindi ad una azienda qualsiasi, non solo informatica, se si estende il concetto stesso di "software" inteso come "conoscenza", di scambiare continuamente esperienze tra i tentativi di soluzioni dei problemi interni e le informazioni che arrivano dall'esterno. È essenziale per una buona riuscita del processo che nell'ambito aziendale vi siano dei "gate keeper", cioè degli organismi che rappresentano le "antenne tecnologiche" mediante le quali catturare le informazioni giuste nei tempi giusti, in una condizione odierna di sovraccarico della quantità di informazioni disponibili (veritiere o meno).
L'attività di queste unità aziendali, o di queste persone, ha un'importanza primaria nel generare e mantenere il necessario afflusso di informazioni per lo sviluppo delle idee. Evidentemente un'azienda di grandi dimensioni, che produca prodotti di sofisticata tecnologia, quale potrebbe essere un'azienda nel settore dell'informatica con produzione di computer ad alto livello o che produca componenti elettronici ad alto contenuto innovativo, dovrà dare una particolare attenzione in termini organizzativi e di investimenti alla ricerca e sviluppo.
Questo è quello che secondo il mio modesto parere si sono detti i manager di una famosissima azienda internazionale di computer che oggi sostiene massivamente il mondo "Linux"... non credo sia difficile intuire a chi mi riferisco. L'azienda in questione è riuscita a superare momenti di crisi e di rinnovamento del mercato grazie alla capacità dei suoi manager di sentire in anticipo, valutare correttamente le informazioni e soprattutto, con alle spalle una consistente ricerca (anche in settori apparentemente distanti dal "core business" per il quale i più la conoscono. Mi riferisco ad IBM.
Difatti gli investimenti in ricerca e sviluppo, che per definizione devono essere "alti" nelle aziende che operano nell'informatica, possono sembrare abbattersi se ci si "rivolge" al mondo open source, come se in un certo senso si "diluissero" i costi della ricerca sui numerosissmi individui che operano in questo modo scrivendo codice o pensando processi innovativi. Non è questa, purtroppo, a mio modo di vedere, la giustificazione dei "vantaggi" dell'open source, non è "il non costo" che sembra caratterizzare qualsiasi cosa nasca sotto l'egida open source (e difatti a torto spesso viene confuso con il concetto di software gratuito - free software). Il vantaggio dell'open source è quello di prescindere dalla dimensione aziendale e di riuscire nel contempo a mantenere il passo con la concorrenza puntando più che sull'innovazione tecnologica, sulla capacità di mantenere una fetta significativa del mercato grazie alla propria capacità di produrre prodotti e componenti già assestati, a costo inferiore rispetto ai concorrenti. È singolare il caso della cosiddetta "piccola industria a conduzione famliare" italiana, che sembra tanto vincente anche all'estero, giacché nonostante le piccole dimensioni di queste aziende, esse riescono a sopravvivere nel mercato globale.
Anche una realtà medio-piccola del settore informatico, attingendo all'open source, focalizzandosi su una buona organizzazione produttiva, processi snelli, e lucrando particolari condizioni di favore in termini di costo delle risorse o della mano d'opera, ad esempio, potrebbe competere sui mercati internazionali alla stregua di queste nostre piccole e medie imprese che vendono prodotti italiani nel mondo.
Nel caso specifico, la "mano d'opera" diviene non più mera esecutrice, ma patrimonio aziendale. È quindi la risorsa umana e non il software prodotto, ad essere la vera ricchezza dell'azienda, che può in questo modo permettersi il "lusso" di elargire a terzi, e sembra un controsenso, addirittura senza immediati ritorni economici, il proprio codice sorgente.
In verità, l'azienda non "cede" la risorsa umana, che è quella che può generare codice sorgente sempre migliore e sempre efficiente... Questo concetto è durissimo da fare assimilare a chi fino a ieri ha studiato sui libri canonici che l'operaio è un "mezzo" e non il fine della produzione, rispetto al "prodotto" che esso produce.
Perchè lo Stato dovrebbe sostenere l'open source?. In un paese in cui la ricerca scientifica trova possibilità di finanziamento e di incentivi da parte dello Stato le necessità di creare tali capacità all'interno dell'azienda sono ovviamente minori, in quanto gli operatori economici, concorrendo attraverso le spese dello Stato al conseguimento di un tale risultato, possono usufruire di ritorno, per così dire, dei benefici di una tale attività collettiva. In quei paesi in cui lo Stato finanzia, per propria necessità comunitaria, gli studi e gli sviluppi in determinate tecnologie, e mi riferisco non soltanto USA del periodo Clinton-Gore (molto intelligentemente attenti a questi temi), non solo le aziende interessate possono usufruire direttamente di tali benefici, in modo diretto come finanziamento alla ricerca ed aiuto alla produzione di prodotti innovatori, ma anhe le altre aziende non direttamente coinvolte dal programma finanziato dallo stato possono godere del "fallout tecnologico", della ricaduta cioè della conoscenza che comunque, da tali operazioni, viene distribuita sul tessuto sociale del paese.
La struttura propria di ricerca e sviluppo di un'azienda dipende anche dal grado di sviluppo tecnologico in senso generale del paese stesso o della zona geografica del paese in cui l'azienda deve operare: in un paese ad alto livello tecnologico la presenza di istituti privati e pubblici, di università e di enti di ricerca può indubbiamente facilitare l'acquisizione di know-how da parte dell'azienda e non richiedere quindi al suo interno la presenza di un gruppo di ricercatori troppo grande.
Si può persino giungere all'apice del processo, e cioè che lo Stato divenga "esportatore" di conoscenza verso altri stati che abbisognando di risorse umane altamente specializzate, possono "comprare" da università o enti di ricerca per produrre poi "tecnologia". Mi riferisco a quello che accade in India, dove la conoscenza "viene" riacquistata dagli USA, principalmente, sottoforma di programmi universitari, scienziati e ricercatori, che vanno a trasmettere agli indiani quelle "matere prime" che altrimenti non avrebbero o che costerebbe troppo (tempo soprattutto) ottenere. Un po' come comprare il petrolio o le automobili per muoversi... solo che qui le autostrade sono "quelle dell'informazione" e arrivano dappertutto a costi molto bassi...
Capita sempre più spesso difatti di trovarsi ad utilizzare codice open source scritto in nazioni considerate "terzo mondo! dal punto di vista industriale classico. Il vantaggio è però che mantenendo la "mano d'opera" in un'altra nazione, alla quale si vende solo il know-how, i costi di gestione rimangono in quella nazione, è insomma un modo per accrescere le quote di mercato, invadendo, pacificamente in un certo senso, altri paesi, giacché la regolabasilare dell'economia mondiale attuale, è l'invasione dei mercati per sopravvivere, essendo comunque destinati a morire non appena tale mercato si verrà a saturare. Inventando sempre nuovi mercati si procrastina di volta in volta questa "morte annunciata".
Pur essendo, quindi, la funzione di ricerca e sviluppo abbastanza simile in qualsiasi tipo di azienda, le sue strutture, il suo costo in termini di impegno economico e di struttura organizzativa variano molto da azienda ad azienda, da paese a paese, da settore a settore e nella singola azienda nell'ambito del settore. I problemi di carattere interno all'azienda dipendono in parte, come abbiamo visto, dalla situazione esterna in cui tale azienda si trova. Ma vi sono anche dei motivi tipici dell'azienda che ne condizionano l'atteggiamento verso i problemi di ricerca e sviluppo. Se ne potrebbero citare molti, ma secondo me i più importanti sono l'origine dell'azienda; l'atteggiamento del management verso i problemi dell'acquistare piuttosto che produrre e l'atteggiamento "interno".
Se il fondatore dell'azienda era un ricercatore o un tecnico di grandi capacità, l'azienda molto probabilmente risentirà della verticalizzazione, per così dire, della ricerca nella persona dell'imprenditore, e così la struttura dei laboratori sarà orientata, soprattutto se la produzione è in qualche modo una diretta conseguenza dell'innovazione tecnologica, o dell'invenzione, dell'imprenditore. Mi riferisco a casi come Microsot, Lotus, Sun, Apple, Oracle, ma anche Ferrari, ad esempio.
Al contrario, un'azienda in cui non esista un simile figura i laboratori di ricerca rappresentano l'evoluzione di più discipline e di più ricercatori: da qui la necessità di un articolato organigramma e di sistemi di informazione interna che dovranno supplire alla mancanza di una spinta basata sull'io dell'imprenditore-inventore, è il caso della IBM. Il management si sostituisce in questo caso all'iniziativa puramente personale.
L'atteggiamento del management delle moderne aziende verso i problemi dell'acquistare piuttosto che produrre (make or buy) deriva dal fatto che alcune aziende ritengono vantaggioso e più facile reperire il know-how per ottenere certi risultati mediante ampie politiche di acquisizione di attività già avviate o di centri di ricerca. È il caso di HP, ad esempio. Infine, l'atteggiamento "interno" delle aziende alimentano nei confronti della ricerca e sviluppo caratterizza anche l'entità degli investimenti che l'azienda è portata a realizzare per la ricerca e sviluppo, come nel caso di CISCO.
Per concludere, l'importante, pur tenendo nel debito conto i problemi derivanti dalle differenti situazioni sopra indicate, è che la ricerca e sviluppo all'interno di un'azienda sia correttamente impostata in funzione dei risultati che l'azienda vuole ottenere e della strategia che essa si è scelta; importante è che essa, tenuto conto di tali obiettivi, riesca ad ottenere un alto grado di efficienza, abbia cioè la capacità di usare nel modo più profiquo le proprie e delle altrui capacità.
Una presentazione delle opportunità e dei modelli di business che offrono Linux e l'OpenSource